Nell'ambito dell'incarico conferito allo Studio Legale Latini di assistere alcune persone rimaste coinvolte e, loro malgrado, danneggiate, dall'attività ben ramificata di un sodalizio criminoso a carattere transnazionale dedito da alcuni anni all'abusiva attività finanziaria, in violazione dell'art. 132 d. lgs. 385/1993, è emersa preliminarmente la necessità di analizzare l'ammissibilità della costituzione di Parte Civile delle parti private danneggiate nell'instaurando processo penale a carico di tutti i compartecipi del sodalizio.

Nella fattispecie concreta veniva contestato, appunto, l'articolo 416 c.p., in relazione alla legge 146/2006, poiché i partecipanti erano accusati di essersi associati tra loro costituendo una stabile organizzazione criminale a carattere transnazionale, finalizzata all'abusiva attività finanziaria, e per aver, in concorso tra loro, nell'esecuzione del medesimo disegno criminoso, ricercato e procurato all'associazione un numero cospicuo di clienti svolgendo in Italia l'attività di cui all'articolo 106 d.lgs. 385/1993 senza la sussistenza dei presupposti previsti dalla normativa di riferimento.

In effetti la suddetta associazione a delinquere, operante tra la Svizzera, il Montenegro e l'Italia provvedeva ad effettuare attività di rastrellamento del risparmio di cui all'articolo 106 d. lgs. 385/1993 nei confronti del pubblico senza essere iscritta nello speciale elenco, e senza essere a ciò autorizzata, rilasciando certificati di deposito falsificati che riproducevano documenti relativi ad una nota banca d'affari Svizzera rimasta evidentemente allo scuro di ogni cosa e per questo anch'essa considerata parte offesa ed evidentemente danneggiata per la eventuale costituzione di parte civile.

All'organizzatore e promotore dell'associazione veniva altresì contestato il reato di truffa avendo egli indotto numerosissimi risparmiatori a credere sulla bontà dell'investimento facendosi consegnare, anche per il tramite della ben articolata rete di procacciatori, cospicue somme di denaro facendo loro credere che l'attività di investimento fosse svolta legalmente nell'ambito di un noto gruppo bancario svizzero mediante il sistematico rilascio di certificazioni del tutto falsificate comprovanti il capitale investito cosi da determinare in capo ai risparmiatori un ingente danno patrimoniale.

Nella fattispecie concreta venivano insomma contestati numerosi capi di imputazione che andavano dall'associazione a delinquere finalizzata all'espletamento di attività finanziaria fraudolenta, abusiva attività finanziaria in concorso, truffa aggravata ai danni dei risparmiatori, abusivo accesso a sistemi informatici funzionali agli scopi dell'associazione, abusiva acquisizione da Pubblici Ufficiali compiacenti di informazioni riservate e coperte da segreto, ricettazione, truffa e frode informatica…

Interesse dei danneggiati era pertanto quello di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e morale subito a cagione della commissione dei reati contestati ai singoli ed alla associazione.

Condizione essenziale per ottenere il riconoscimento e la liquidazione del danno patrimoniale e morale in sede penale è la tempestiva costituzione di parte civile.

L'atto di Costituzione di Parte Civile dovrà contenere, ai sensi dell'articolo 78 c.p.p., a pena di inammissibilità:

  • le generalità della persona fisica o la denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce parte civile e le generalità del suo rappresentante legale;
  • le generalità dell'imputato nei cui confronti viene esercitata l'azione civile o le altre indicazioni che valgono ad identificarlo;
  • il nome e cognome del difensore e l'indicazione della procura;
  • l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda;
  • la sottoscrizione del difensore.

Se tale atto è presentato fuori udienza, la dichiarazione deve essere anche notificata, a cura della Parte Civile, alle altre parti e produce effetto per ciascuna di esse dal giorno della eseguita notificazione.

Recita inoltre il successivo articolo 79 c.p.p. che la costituzione della Parte Civile può avvenire all'udienza preliminare e, successivamente, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484 c.p.p., ossia prima dell'apertura del dibattimento, a pena di decadenza.

Il problema che preliminarmente si è posto - in effetti numerose eccezioni sono state sollevate in tal senso dai difensori degli imputati in sede di udienza preliminare - riguarda l'annosa questione della configurabilità o meno della legittimazione dei privati e/o enti danneggiati di costituirsi Parte Civile nell'ambito del reato associativo, contro l'associazione nel suo complesso.

Come è noto, tale reato, previsto e disciplinato dagli artt. 416 c.p. (associazione a delinquere) e 416 bis c.p. (associazione a delinquere di stampo mafioso) è reato monoffensivo in quanto posto esclusivamente a tutela dell'Ordine Pubblico e, quindi, una eventuale legittimazione alla costituzione della Parte Civile dovrebbe in astratto essere limitata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ente quest'ultimo deputato alla tutela dell'Ordine Pubblico o, al più, all'Ente territoriale ove si sono svolti i fatti di cui all'imputazione.

In realtà è necessario verificare, sulla base di una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, anche sulla scorta della giurisprudenza medio tempore formatasi, se la costituzione della Parte Civile di un privato, persona fisica e/o giuridica, possa ritenersi compatibile col reato associativo anche nei confronti di coloro ai quali non siano stati addebitati i reati fine commessi ai danni delle persone offese – e danneggiate – che si sono costituite Parte Civile.

Ed invero, come anticipato, l'obiezione che potrebbe essere sollevata - e che ha visto alterne soluzioni giurisprudenziali - è quella secondo la quale essendo il reato di associazione a delinquere ex articolo 416 c.p. reato monoffensivo vi sarebbe una evidente limitazione della legittimazione attiva in capo alla sola Presidenza del Consiglio, entità istituzionalmente deputata alla tutela dell'Ordine Pubblico in generale o, al più, del singolo soggetto pubblico, preposto alla tutela del suddetto interesse nella zona interessata dalla commissione del reato.

Pur tenendo conto che il reato associativo è monoffensivo come sopra precisato, da cui, fra l'altro, discende l'autonomia di tale incriminazione rispetto ai reati commessi in esecuzione del pactum sceleris, tuttavia si osserva che la più recente giurisprudenza di legittimità e di merito ha riconosciuto in maniera sempre più evidente il risarcimento del danno sia indiretto che mediato laddove lo stesso rappresenti un effetto normale dell'azione dell'autore del reato secondo il principio positivizzato dall'articolo 41 c.p. della causalità adeguata.

In altre parole, il ragionamento della più recente giurisprudenza per superare l'evidente empasse determinato dalla risoluzione della questione giuridica, è quello secondo il quale allorquando un evento dannoso sia comunque determinato da una pluralità di azioni od omissioni dovrà riconoscersi ad ognuna di esse pari efficienza causale a meno che una di tali condotte sopravvenute sia suscettibile di eliminare il nesso di causalità tra evento e danno (cft. Cass. Pen. Sez. III, 10/10/2008 nr. 25028).

Con riguardo al reato di associazione a delinquere vi sono numerose sentenze che hanno fatto applicazione di tale principio riconoscendo quindi la possibilità di individuare anche nella condotta dei consociati un titolo autonomo di responsabilità risarcitoria per danni diversi dalla messa in pericolo dell'Ordine Pubblico e quindi a soggetti diversi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Tra le sentenze degne di nota si ricordano quella, nel caso Telecom, della Corte d'Assise di Milano in data 26/01/2011 (ord.), Presidente Gamecchio, e del Tribunale di Milano – Sezione G.I.P. in data 03/12/2001 in cui viene rilevato che "…anche il reato di associazione per delinquere, benché rivolto principalmente alla tutela dell'Ordine Pubblico, è comunque in grado di provocare danni anche a soggetti, persone fisiche o giuridiche, singolarmente individuati…", nonché, quella del Tribunale di Bologna in data 14/11/1995 in cui si riconosche che "…la legittimazione della SIAE, in processi penali relativi ad abusiva riproduzione di opere tutelate, va ammessa in relazione al reato di associazione a delinquere, perché per la natura del reato, le relative condotte sono produttive di danno anche per la SIAE…".

Una recentissima sentenza della Suprema Corte di Cassazione (cft. Cass. Pen. Sez. II, 14/05/2010 nr. 23046) ha definitivamente eliminato ogni dubbio sulla questione de qua riconoscendo la possibilità per i privati di agire contro tutti gli associati per i danni economici loro derivati ed invero ha avuto modo di chiarire come "…anche dal fatto associativo scaturisce la responsabilità risarcitoria dell'autore del reato in favore delle costituite parti civili, in quanto… - partecipando all'associazione – ha contribuito a porre in essere la necessaria precondizione del successivo verificarsi del danno...".

In quest'ultimo caso, la legittimazione passiva di ciascun sodale veniva riconosciuta non già superando la concezione monoffensiva del reato di cui all'articolo 416 c.p. ma soltanto richiamando il principio secondo il quale la responsabilità risarcitoria si estende anche ai danni mediati ed indiretti ricollegabili agli effetti normali dell'illecito.

In altre parole la Suprema Corte di Cassazione non ha riconosciuto in capo al privato la possibilità di agire in relazione al pericolo provocato da una associazione criminale per la tutela dell'Ordine Pubblico ma ha concesso al privato il diritto di costituirsi sulla base della condivisibile considerazione che del danno provocato dai reati fine, singolarmente o complessivamente considerati, debbano rispondere anche coloro che hanno posto in essere le precondizioni dell'illecito mediante la partecipazione all'associazione criminale.

In tal modo, a ben vedere, si è operato un ampliamento del novero dei soggetti che hanno a risponderne (sia gli autori diretti che quelli indiretti) in applicazione del suindicato principio della "causalità adeguata".

D'altra parte, l'applicazione del principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione nella richiamata sentenza nr. 23046 del 2010 non determinerà certamente una duplicazione del risarcimento in quanto il danno prospettabile per le parti private e pubbliche sarà determinato in forza delle concrete conseguenze lesive che ciascuna delle parti proverà di aver subito a cagione dei reati fine posti in essere dai diversi sodali e non già per aver messo in pericolo l'Ordine Pubblico ricollegabile alla mera costituzione di una associazione criminale.

Ovviamente l'ultima considerazione relativa al risarcimento non riguarda tanto la fase iniziale, oggetto del presente lavoro, esclusivamente finalizzato a dipanare le perplessità esistenti sulla legittimità di una eventuale costituzione di Parte Civile nei confronti dell'associazione, e quindi la delibazione preliminare del giudice sulla ammissibilità della costituzione di Parte Civile, ma esclusivamente la fase successiva di merito ove dovranno essere accertate le rispettive responsabilità e gli specifici danni derivati a ciascuna parte danneggiata.