Lo Studio Legale Latini ha ricevuto incarico dal signor B. T. di Grosseto di rappresentarlo ed assisterlo nell'ambito di un procedimento penale promosso contro di lui, unitamente ad altra persona, dalla locale Procura della Repubblica per il reato di cui all'art. 2 L. 11/11/1983 n. 638 per avere, nella qualità di socio della società Alfa s.n.c., omesso di versare all'I.N.P.S. le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori per il mese di maggio 2009.

Questi i fatti accaduti.

Giunto in studio il signor B.T. mostrava un decreto penale di condanna notificatogli il giorno precedente esponendo di essere stato socio della società Alfa s.n.c. operante nel settore dell'edilizia e delle costruzioni unitamente all'amico D.F., e che, per il rapporto fiduciario originariamente in essere tra i due le parti avevano convenuto di ripartire le rispettive responsabilità nel senso che soltanto D.F. si sarebbe occupato della gestione amministrativa della società mentre il B.T. si occupava della gestione operativa e di cantiere.

Esponeva altresì che, a seguito di una amministrazione quantomeno disinvolta dell'amico poco rispettosa degli impegni reciprocamente assunti, circostanza quest'ultima che determinò in seguito lo scioglimento della società, nella più completa ignoranza del signor B.T., l'altro socio, anch'egli destinatario di un decreto penale di condanna divenuto tuttavia definitivo, aveva utilizzato e distratto le finanze della società per operazioni personali omettendo per giunta di versare i contributi previdenziali di sua spettanza come venne a sapere in seguito ad una visura effettuata all'I.N.P.S..

In relazione a quest'ultima circostanza, egli riferiva, poteva essere plausibile che nello stesso modo in cui aveva omesso il pagamento delle ritenute previdenziali dell'amico, avrebbe ben potuto non versare le ritenute dei dipendenti come ipotizzato dalla Procura della Repubblica di Grosseto.

Nel corso della esposizione egli riferiva altresì di non aver mai ricevuto alcuna comunicazione o avviso dall'I.N.P.S. su presunte somme non pagate e che, pertanto, la notificazione del suddetto provvedimento di condanna da parte del Tribunale di Grosseto l'aveva pesantemente turbato.

Preliminare ad ogni ulteriore considerazione fattuale è l'analisi del dato normativo di riferimento.

Come è noto la condotta di omissione del pagamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti integra il reato previsto e punito dal D.L. 12/09/1983 n. 463 convertito in L. 11/11/1983 n. 638 che, all'articolo 2, sanziona detta condotta con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad euro 1.032,91.

Il secondo periodo dell'art. 2, comma 1bis, stabilisce tuttavia che il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento della somma accertata entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione.

Trattasi di disposizione introdotta non soltanto per potenziare la lotta all'evasione contributiva salvaguardando le casse previdenziali ma anche, e forse soprattutto, all'evidente fine di contrastare il lavoro "in nero" poiché è chiaro come il datore di lavoro che utilizzi lavoratori "in nero" incorra altresì nel rischio di commettere tale reato dal momento che, omettendo la denuncia all'i.n.p.s. del lavoratore, non verserà neppure le ritenute previdenziali ed assistenziali.

Inoltre, come più volte chiarito dalla giurisprudenza, con la previsione del suddetto reato, inquadrabile come "delitto" con conseguente impossibilità per l'accusato di definire la propria posizione mediazione l'istituto dell'oblazione, il legislatore ha inteso reprimere non il semplice fatto omissivo del mancato versamento delle ritenute, ma il più grave fatto dell'appropriazione indebita del datore di lavoro delle somme trattenute sulla retribuzione dei dipendenti.

Appare fin troppo chiaro tuttavia che, come qualsiasi altro reato, anche nell'ambito dei reati previdenziali, i fatti costitutivi debbono essere integralmente provati dalla pubblica accusa come ha avuto modo di ribadire la più recente giurisprudenza di legittimità ( confronta ex multiplis Cass. Pen. Sez. III 05/05/2011 n. 28922) e che, trattandosi di mancato versamento di ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti, vi deve essere innanzitutto la prova del pagamento della retribuzione ai dipendenti, la prova del mancato versamento delle ritenute previdenziali e la prova dell'avvenuta contestazione da parte dell'I.N.P.S..

Se la prova della avvenuta contestazione può essere fornita agevolmente col deposito della lettera raccomandata con ricevuta di ritorno opportunamente sottoscritta dall'imputato e la prova del mancato versamento delle ritenute previdenziali può essere fornita con una certificazione rilasciata dall'ufficio e sottoscritta dal funzionario responsabile, non così nel caso della prova dell'avvenuto o meno pagamento della retribuzione.

Costituisce d'altra parte principio comunemente accettato, anche a seguito della sentenza della Cass. Pen. SS.UU. 26/06/2003 n. 2764, che il mancato pagamento della retribuzione al dipendente determina la non configurabilità del delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali posto che, in tale evenienza, verrebbe a mancare quella condotta di "appropriazione indebita" presupposto indefettibile per la contestazione della fattispecie criminosa.

Chiarito il dato normativo ed individuati i requisiti probatori minimi necessari e sufficienti per la condanna in sede penale dell'imputato, analizzando la questione sottoposta all'attenzione dello studio, appariva chiaro fin da subito come in effetti il signor B.T., anche all'esito della disamina della documentazione allegata alla richiesta di emissione del decreto penale di condanna, non avesse mai avuto alcuna contezza dell'omissione contributiva poiché risultava che l'I.N.P.S. si era limitata ad inviare la comunicazione ad uno dei due soci - peraltro non presso la sede sociale ma direttamente presso la sua residenza - aveva insomma provveduto ad inoltrare la comunicazione prevista dall'art. 2, comma 1bis D.L. 12/09/1983 n. 463 soltanto all'altro socio D.F. omettendo completamente di inoltrarla anche al B.T. nella sua qualità di socio della società in nome collettivo illimitatamente responsabile.

In tal modo il signor B.T. era stato impedito di usufruire della speciale condizione di improcedibilità prevista dalla normativa.

Se è pur vero che, a seguito della recentissima sentenza della Cass. Pen. SS.UU. 24/11/2011 n. 1855 che, per inciso, ha risolto un pluriennale contrasto di giurisprudenza tra sezioni, anche un atto successivo del processo, laddove contenga tutti gli elementi informativi previsti dalla disposizione di cui al D.L. 463/1983, ossia, l'indicazione del periodo di omesso versamento e dell'importo, la indicazione della sede dell'ente ove effettuare il versamento entro il termine di tre mesi e l'avviso che il pagamento avrebbe consentito di fruire della speciale causa di non punibilità, può far decorrere il termine trimestrale la cui decorrenza è prevista quale condizione di punibilità della condotta, ma, nella fattispecie concreta, alcun atto del processo conteneva il predetto contenuto inderogabile.

Visti gli stringenti termini per proporre l'opposizione, vista l'opportunità di procedere comunque al dibattimento onde ottenere una sentenza di assoluzione, si provvedeva immediatamente in opposizione senza richiedere l'applicazione di alcun giudizio alternativo.

Nel corso del processo veniva quindi sentito il funzionario I.N.P.S. incaricato alla istruttoria della pratica il quale non soltanto nulla riferiva o precisava in funzione dimostrativa degli ulteriori presupposti ed elementi del reato contestato, ad iniziare da quelli concernenti la effettiva corresponsione delle retribuzioni cui si riferiscono i contestati omessi versamenti, circostanza già di per se sufficiente per mandare assolto l'imputato nel merito, posto che, com'è noto, in tali casi, la carenza dei suddetti elementi di prova avrebbe determinato di per sé l'inconfigurabilità del reato per difetto dello stesso elemento oggettivo ( Cass. Pen. SS. UU. 23/06/2003 n. 27641 cit.) ma, successivamente, indotto dalla difesa, confermava candidamente che l'ufficio non aveva neppure provveduto alla notifica dell'avviso di contestazione all'imputato B.T. in violazione dell'art. 2, comma 1bis, D.L. 463/1983.

Inutile dire come, scontata-mente, il Tribunale di Grosseto provvedeva ad emettere una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.